La nascita del rosso pompeiano: da un'eruzione del Vesuvio...

Il 24 agosto del 79 d.C. una coltre di materiali piroclastici sommerse Pompei per un’altezza di circa sette metri.

Oggi una visita agli scavi ci consente di ammirare lo splendore di questa ricca città romana: un impianto urbanistico ortogonale su cui, oltre alle sontuose domus e villae, emerge un tessuto fortemente ricco di infrastrutture e di aree pubbliche.

Un filo conduttore è presente in quasi tutte le opere rinvenute: il rosso pompeiano.


Il primo nome antico del rosso pompeiano

Nell’antica Roma il rosso pompeiano veniva chiamato Sinopsis ed è stato rinvenuto specialmente nei siti di Ercolano e Pompei, probabilmente perché sono quelli che, grazie alla “protezione” delle colate laviche, si sono conservati nella maniera migliore. Il nome deriva da Sinope, antica città turca dove apparve per la prima volta questo pigmento.

Il rosso pompeiano non è altro che un’ocra rossa di origine naturale, composto da ossido di ferro. È oggi conosciuto anche con i nomi di rosso Ercolano, terra di Pozzuoli, rosso inglese, ematite e terra rossa di Verona.

Questo colore è divenuto il “marchio di fabbrica” degli scavi di Pompei ed Ercolano, poiché rinvenuto per la prima volta nelle splendide ed eleganti ville dei patrizi romani.


Di cosa è fatto il pigmento rosso pompeiano?

Il rosso pompeiano non è solo un colore ma una gamma di colori di sfumature rosse.

Inizialmente gli abitanti di Pompei lo preparavano con gli scarti di lavorazione del cinabro, il cui l’elevato costo di produzione ne limitava l’utilizzo ai casi di estrema necessità. Questo venne poi completamente rimpiazzato perché contenente notevoli quantità di mercurio, e quindi anche tossico e nocivo per la salute. 

Venne quindi gradualmente sostituito dal vermiglione (più simile all’arancione), dall’ocra rossa, dal Rosso Marte e dal Rosso Pozzuoli; questi ultimi due sono miscele di ossidi e idrossidi di ferro (tra cui l’ematite).

La condanna a morte del rosso pompeiano

Il cinabro è sempre servito, fin dall’antichità, per separare l’oro dalle impurità dei materiali che lo inglobano. Nell’alchimia cinese era la materia della pietra filosofale, i Greci lo utilizzavano per la preparazione di pigmenti.

Dato l’uso massiccio che i Romani facevano di questo pigmento per affrescare le case si potrebbe pensare che non ne avessero idea della tossicità di questo materiale. In realtà,  le proprietà malsane del cinabro erano conosciute benissimo dagli Antichi, tanto che schiavi e prigionieri venivano mandati a lavorare nelle miniere di Almaden in Spagna e in quelle del monte Amiata: era praticamente una condanna a morte per i prigionieri che erano costretti a vivere a contatto con questo minerale tossico.


Qual era il vero colore del “rosso pompeiano”?

Studi recenti hanno rivelato che questo meraviglioso colore, che ha reso celebri nel mondo le pareti delle stanze di Pompei ed Ercolano, emblema di una terra e pezzo di storia, sarebbe in realtà una trasformazione del colore originario degli affreschi dovuta alle emissioni di gas sprigionate durante l’eruzione del 79.

I ricercatori affermano che i gas e l’incredibile calore emanato dall’eruzione hanno agito sul pigmento presente sulle pareti rendendolo proprio rosso: il rosso pompeiano non è altro che un giallo ocra “tostato”.

Questo mito sfatato era in realtà già noto nell’antichità: Plinio, in una sua opera, spiega che dal giallo ocra si può ottenere quello rosso arrostendo il primo. Questo cambia perennemente il colore. Tale tipo di tecniche erano molto note agli antichi romani quindi, molto probabilmente, alcune case sono diventate rosse a seguito dell’eruzione, mentre altre lo erano già.


Rosso o giallo pompeiano?

 “Le pareti attualmente percepite come rosse sono 246 e le gialle 57 ma, stando ai risultati, in origine dovevano essere rispettivamente 165 e 138, per un’area di sicura trasformazione di oltre 150 metri quadrati di parete” ha affermato il ricercatore Sergio Marini, confermando che molte delle pareti erano originariamente gialle e che una parte era davvero decorata di rosso pompeiano anche prima dell’eruzione del Vesuvio. 

Il senso nella scelta dei colori era estetico e funzionale. Per esempio le pareti della Fullonica di Stephanus, che era una sorta di lavanderia, non erano rosse ma giallo ocra al tempo, dal momento che la tostatura rendeva molto più costoso dipingere le pareti di rosso.

Mentre la stessa cosa non la si può dire per gli affreschi Villa dei Misteri. Nove scene enigmatiche che forse rappresentano le fasi di preparazione di una sposa, oppure l’iniziazione di una giovane donna ai riti dionisiaci. Qui il colore ha una valenza simbolica: il mistero e l’eros delle scene rappresentate nella Sala del Triclinio non possono che essere trasmesse dal celebre “rosso pompeano”!