Un tour alternativo in giro per Pompei

Pompei è un gioiello del nostro patrimonio archeologico, uno scrigno del passato, i cui resti ci dicono tanto sulla vita degli antichi Romani. Ma oltre alle sue antiche rovine, a Pompei troviamo immense distese di campi coltivati.

Il Vesuvio, prima di mostrare la sua immensa potenza eruttiva di vulcano attivo, è stato per secoli un monte tranquillo nell’antichità. Scrittori e poeti lo descrissero coperto di orti e vigne ed in alcuni affreschi è rappresentato come una montagna, ricca di vegetazione e vigneti. Il monte era amato per le sue fertili terre che l’origine vulcanica rendeva particolarmente adatta alle coltivazioni. Tra le tante colture, predominava largamente quella dell’uva, introdotta dai Greci e sviluppata poi a pieno dai Romani.


La Storia di Pompei attraverso i suoi piatti tipici

La storia di Pompei può essere raccontata anche attraverso i suoi cibi e piatti tipici. Molte pietanze della cucina dell’antica Pompei hanno dato origine ad odierne ricette italiane.

Infatti, prima dell’eruzione del 79 d.C., Pompei è stata la prima città a lanciare il concetto di ristorazione moderna. Qui sorsero le prime termopoli, una sorta di pub o osterie che offrivano ristoro agli avventori. Il miglior esempio ritrovato è il Thermopolium di Vetutius Placidus, oggi restaurato e aperto al pubblico.

Tra gli alimenti in uso nell’antica Pompei, non poteva mancare il pane, di cui ne sono stati ritrovati anche dei resti carbonizzati. Questo era solitamente accompagnato da verdure, in particolare dai ritrovamenti, emerge un largo consumo di cavolfiori.

Sulle tavole pompeiane di importanza fondamentale era anche la frutta, spesso servita come antipasto o assieme al dolce. Le olive invece venivano coltivate sui monti Lattari, raccolte direttamente da terra, venivano conservate sotto sale o aceto, per poi ricavarne un olio profumatissimo.


La cultura vitivinicola di Pompei

La pratica vitivinicola faceva già parte delle cultura greca. Le tecniche colturali prevedevano spesso la surmaturazione delle uve, ossia “vendemmia tardiva”, che rendeva il vino molto dolce e da uno spiccato contenuto alcolico. Infatti il vino veniva raramente bevuto allo stato puro, ma diluito col miele e servito solo durante i simposi. Dato quindi il suo sapore fin troppo dolce, i Greci ebbero l’intuizione di salare il vino e furono i primi ad utilizzare le anfore per i processi di vinificazione, affinamento e trasporto dei liquidi.

Con l’affermarsi dell’Impero Romano, i vini campani diventano i più importanti e rinomati nel mondo antico, in particolare i vesuviani erano esportati praticamente in tutto il Mediterraneo. Le villae rusticae pompeiane erano spazi adibiti per la produzione di vino ed olio (un esempio è Villa Regina a Boscoreale).

Dopo la terribile eruzione del 79 d.C. e le numerose che seguirono, fu inevitabile lo spopolamento della zona e si hanno poche testimonianze storiche. Certo è che nel Medioevo il culto del vino si mantenne vivo grazie alle chiese e i monasteri che rilevarono i terreni alle falde del vulcano: i monaci, con l’aiuto dei contadini della zona, ridiedero nuovo slancio alla produzione vinicola e furono proprio loro a vinificare il primo famoso Lacryma Christi.


I prodotti enogastronomici delle terre pompeiane e vesuviane

È proprio da questi terreni vulcanici che hanno vita alcune delle migliori prelibatezze della cucina napoletana. L’area vesuviana è una straordinaria miniera di prodotti agricoli di alta qualità e tipicità.

Il primo a venirci in mente è di sicuro il pomodorino piennolo del Vesuvio DOP. È un tipo di piccolo pomodoro la cui forma può ricordare quella di una lampadina: ovale con un apice leggermente appuntito. È conservato a grappoli, che in dialetto si dice appunto “piennolo” e da qui il suo nome. Cresce nel Parco Nazionale del Vesuvio, grazie alla qualità del suo terreno ricco di sali minerali. È un’ottima base piatti tradizionali, a base sia di carne che di pesce, li troviamo anche sulla pizza oppure vengono gustati freschi accompagnati da pane, olio e sale.

Tipiche dei territori vesuviani sono le albicocche del Vesuvio, delle quali troviamo tracce della loro coltivazione già a partire dal IV sec. Nel 1583, lo scienziato napoletano Giovan Battista Della Porta le distingue in due gruppi: le bericocche (di forma tonda e polpa bianca e molle, aderente al nocciolo) e le chisomele (con la polpa non aderente al nocciolo, molto colorate, dolci e più pregiate). In ogni caso, i napoletani le chiamano indistintamente crisommole: maturano da fine maggio a fine luglio e le molte varietà si differenziano per dimensioni, intensità del profumo, levigatezza della buccia e sapore.

Nel territorio dell’Agro Pompeiano è anche molto praticata la coltivazione della cipolla bianca di Pompei. Una cipolla di piccole medie dimensioni, dalla forma schiacciata ai poli e con polpa e guaine esterne bianche con lievi sfumature verdi. Si raccoglie in primavera, da marzo a giugno, ed è acquistabile in mazzi. Per poterne gustare a pieno il suo sapore intenso va consumata fresca, altrimenti si può utilizzare per la preparazione di conserve.


Le Vigne di Pompei

Come abbiamo detto, è proprio nel cuore infuocato e spesso ostile del Vesuvio che si nasconde il segreto della vita di queste terre e dei suoi vini. I terreni vulcanici, infatti, sono tra i migliori per la coltivazione della vite e le produzioni enologiche di alta qualità.

Tra i suoi vitigni autoctoni, se ne distinguono diverse qualità. Fra quelli a bacca nera:

1. Aglianico: L’aristocratico principe dei vigneti a bacca nera del sud Italia, l’ultimo a maturare sulle falde del Vesuvio (tra la seconda metà e la fine di ottobre). Ha un colore rubino intenso con riflessi granato–arancioni dopo l’invecchiamento. Gli aromi ricordano il terreno di provenienza, con riconoscimenti di prugna matura, viola, tabacco, spezie e pepe nero. Si abbina a primi piatti complessi e strutturati, formaggi semi-stagionati, cacciagione e secondi di carni rosse. L’abbinamento ideale è con il capretto di Sant’Anastasia.

2. Piedirosso: Secondo solo all’Aglianico, è localmente detto palummina o per’ e palummo, deve il suo nome al colore che assumono il rachide e i racimoli con l’approssimarsi della piena maturazione del grappolo. Ha un colore rosso rubino intenso. Ha un aroma fruttato di media intensità, con frequenti spunti minerali tipici del terreno del vulcano: è ricco di limo, fosforo e potassio. Si abbina sia alla cucina di mare che a quella vegetariana, sia con la pasta che con tutte le pietanze a base di pomodoro (ideale con il ragù).

3. Olivella: localmente detto ulivella o livella, perché ricorda l’oliva sia nella forma che nel colore violaceo. È uno dei vitigni più vecchi della Campania: è sopravvissuto alla devastazione della fillossera, ha una buona resistenza alle avversità climatiche, germoglia precocemente e matura nella seconda metà di ottobre. Con un basso tenore alcolico. Ha un colore intenso, rubino con unghia violacea, talvolta con spuma rossa. Profumo vinoso, sentori fruttati di prugna nera, ciliegia e mirtillo.

Tra i bianchi, invece, ricordiamo la Falanghina, l’uva legata alla falange. È il vitigno più diffuso della provincia di Napoli. Utilizzato sul Vesuvio principalmente come complementare nel Lacryma Christi, soprattutto per la tipologia spumante, per le sue doti di acidità. Questa varietà ha diverse analogie con la falanghina napoletana dei Campi Flegrei, con cui ha in comune l’acino tondo, ma differisce per la maggior compattezza del grappolo.


Tasting Tour Pompeii con Bosco de’ Medici Winery

Alle falde del Vesuvio, poco lontano dal Sito Archeologico, Bosco de’ Medici Winery offre un tour che vi porterà alla scoperta dei sapori e della storia di queste terre.

La loro è una storia lunga generazioni che ha avuto inizio per passione di nonno Raffaele agli inizi del ‘900, per poi continuare con i nipoti Giuseppe, Emiddia, Sonia e Lella. Da terreno agricolo dedito alla vinificazione nella cantina del loro casale settecentesco, fondano l’Hotel Diana (al centro di Pompei), la scuola di equitazione, per poi diventare a tutti gli effetti la Tenuta Bosco de’ Medici.

Nel 1996 viene fondata l’Azienda Agricola e nel 2014 la Winery ed inizia la produzione vini a marchio de’ Medici. Oggi la Winery è il fiore all’occhiello del gruppo aziendale che, come voleva il nonno Raffaele, richiama la nobile “arte” dell’otium romano. Un luogo progettato come “contenitore” polifunzionale di attività che vanno dalla produzione, all’accoglienza.

La famiglia Palomba, nell’intento di far sperimentare l’arte culinaria del territorio, propone i prodotti del loro orto e dei terreni di proprietà, sapientemente elaborati dallo chef Gioacchino Nocera. Alcuni piatti riprendono anche antiche ricette di famiglia, come quelle tramandate dalla bisnonna Colomba alla nonna Emidia e dopo ai nipoti.

Durante il loro Tasting Tour Pompeii, avrai modo di:

Degustare i loro vini: i loro eccellenti sommelier vi guideranno nella degustazione del vino aziendale e scoprire così il vero vino vesuviano;

Tour delle vigne: un tour sperimentale, durante le quali le sapienti guide vi mostreranno i risultati del progetto biodinamico;

Visita al casale del ‘700 e al sito archeologico: visiterete l’antico casale di famiglia e attraverserete la piccola necropoli di porta Sarno;

Visita alla cantina ed anforaida: scoprirete le sale dove prendono forma i vini e il progetto di vino in anfora.

Insomma un’esperienza con profonde radici storiche e familiari e che darà alla vostra visita a Pompei tutto un altro gusto!


Alla riscoperta dell’Otium Pompeiano nel Resort Bosco de’ Medici

Per i Romani l’otium (ozio) era un momento imprescindibile delle loro giornate, nel quale si prendevano cura del loro spirito e dei piaceri del corpo. Uno stile di vita elevato, considerato di pari valore rispetto al negotium (lavoro). Vita pubblica e vita privata erano sullo stesso piano, in perfetto equilibrio.
Per le classi dominanti dell’epoca, l’otium era un complesso di attività intellettuali e meditative, ricreative e ristoratrici, che rappresentava non solo un bisogno essenziale, ma anche un elemento caratterizzante dello stile di vita, della libertà personale, della tempra morale. Lungi dall’essere disprezzato e demonizzato, l’ozio era considerato come essenziale libertà e come completamento rispetto agli obblighi del lavoro e agli impegni di carattere pubblico - ma non in contrasto con quelli - e quindi come possibilità di dedicarsi alla cura di sé. L’otium era lo spazio dell’anima e il luogo dei piaceri del corpo. Era arte di vivere. Una condizione privilegiata e invidiabile. La massima aspirazione per un uomo che fosse in grado di trovare il giusto equilibrio fra la dimensione pubblica e quella privata della vita.
Oggi fatichiamo a ritrovare questi momenti, mettendo sempre al primo posto il lavoro. All’interno del Resort Bosco de’ Medici ritroverai questo antico senso di riposo dagli affanni, magari dopo aver visto gli scavi, la Costiera e la città.
Con il loro Resort, la famiglia Palomba si prefigge l’obiettivo di proporre un’offerta turistica alternativa, fatta di emozioni, benessere e contatto con la natura, all’interno di una struttura innovativa dotata di ampie camere familiari, luminose superior, ed eleganti suite con vasche idromassaggio e cromoterapia. Il Resort (confinante con il Sito Archeologico) si estende su una superficie di 4 ettari a soli 800 metri dal Santuario di Pompei e 900 dal principale ingresso agli scavi (Piazza Anfiteatro).
Una vera oasi di pace, unica nel suo genere, ove godersi lo scenario del Vesuvio che si presenta in tutto il suo maestoso fascino. Oltre che percorrere i più classici itinerari (Ercolano, Vesuvio, Sorrento, Amalfi, Positano, Paestum, Ischia, Capri), è possibile visitare la fattoria con svariati animali, il laghetto con cascata e la scuderia di una delle più prestigiose scuole d’equitazione presenti in Italia, con pony per i più piccini.